La straordinaria situazione sanitaria che stiamo vivendo e che si sta traducendo anche in emergenza economica e sociale, ha scaturito negli individui e nelle imprese la necessità di indirizzare il proprio operato verso bisogni reali: non è raro, ad esempio, leggere e ascoltare notizie di grandi brand di moda che hanno convertito la propria produzione a favore di mascherine in aiuto alla popolazione. Questo, oltre alla volontà naturale di rispondere ad una emergenza, richiama anche la necessità di promuovere ulteriormente la propria azienda, di fare marketing. Tuttavia, è interessante notare come questa “conversione produttiva”, oltre a rispondere a bisogni specifici dei cittadini in emergenza nell’affrontare un nemico invisibile di cui ben si percepisce la presenza, abbia rotto il paradigma del profitto ad ogni costo.

Il momento che stiamo vivendo offre anche un lato positivo della medaglia: siamo messi di fronte all’evidenza, fino ad ora ignorata, che la natura e i suoi processi non sono opposti ed estranei a tutto ciò che riguarda l’attività umana. È idea comune che la natura ha le sue leggi e che queste non coincidano con quelle degli uomini, ma in realtà non è così. L’uomo fa parte della natura e il suo benessere dipende strettamente e necessariamente dal buon funzionamento degli ecosistemi di cui è parte integrante.

Negli ultimi anni l’uomo, per le sue necessità, è intervenuto sull’ambiente modificando profondamente gli ecosistemi, compromettendoli e slegando dalla natura l’idea di sviluppo. Ciò ci fa capire come l’uomo abbia il potere di disporre dei sistemi rispetto ai quali differenziare ciò che è giusto o ingiusto, diventando protagonista tecnologico del mondo, il che non è del tutto negativo se si pensa a come le scelte consapevoli e responsabili delle aziende possano condurre ad una economia “del futuro” ovvero spontaneamente sostenibile.

Si pensi ai cambiamenti in seno ai processi aziendali, di decentramento delle produzioni che, oltre a risolvere problemi di sicurezza collettiva, tiene conto anche della sostenibilità ambientale che è il vero tarlo del capitalismo aggressivo: la prossimità dei processi produttivi è foriera di numerosi vantaggi, quali la redistribuzione del lavoro, la riduzione dei trasporti e del conseguente impatto ambientale, la valorizzazione delle tradizioni produttive locali, la sicurezza negli imprevisti con la garanzia del proseguimento di servizi più o meno essenziali secondo il principio che più la catena produttiva e distributiva più è centralizzata, più essa è vulnerabile.

Ci è voluto del tempo perché l’idea del progresso non venisse associata ad un concetto predatorio dei territori: l’emergenza ambientale, i nuovi obiettivi di sviluppo sociale ed economico, la necessità di garantire un equilibrio tra uomo e ambiente, hanno fatto sì che si associasse lo sviluppo e il progresso a dei nuovi standard qualitativi delle aziende: ormai i rating di sostenibilità ambientale e sociale, stanno diventando delle consuetudini acquisite dalla maggior parte del tessuto produttivo sviluppato.

Attraverso l’ecorating della propria impresa è possibile tracciare un percorso di sviluppo verso l’innovazione e l’economia circolare: la valutazione della  capacità  dell’azienda  di  creare  valore,  di  generare  opportunità  e  di  ridurre  l’esposizione  ai  rischi  debba  tenere  conto  non  solo  degli  indicatori  di  carattere economico-finanziario ma anche delle performance ambientali, sociali e di governance: l’efficienza dell’utilizzo delle risorse, l’impatto della catena delle forniture, la gestione dei rifiuti e l’innovazione verso packaging “leggeri”, insieme al coinvolgimento delle comunità locali e alla trasparenza e correttezza di informazioni, costituiscono il primo step di una “riconversione aziendale” verso l’economia circolare.

La tecnologia sembra oggi essere il punto di partenza di un processo virtuoso e solidale che abbraccia una logica che si discosta da quella della seconda rivoluzione industriale: non la velocità del guadagno ma quella del servizio sociale e della sostenibilità ambientale.

L’innovazione tecnologica, oggi, ci permette di affrontare le crisi (come quella attuale che non è solo sanitaria ma ha fatto venire alla luce tutti i limiti del nostro modo di vivere) con un maggiore impulso creativo: molte aziende hanno messo a disposizione i propri mezzi a favore di una concreta volontà di dare un aiuto a tutto il sistema. La differenza tra la tecnologia e l’innovazione tecnologica è proprio questa: reinventarsi e reinventare le risorse a propria disposizione a favore di uno sviluppo della società in armonia con l’ambiente.

È con questo spirito che la nostra cooperativa InnovAction ha deciso di donare, agli operatori sanitari, visiere paraschizzi riutilizzabili, realizzate con la stampante 3D, un oggetto utilizzato finora negli eventi sostenibili per creare piccoli gadget.

La vera sfida dell’economia circolare è mettere in discussione le nostre abitudini di produzione e di consumo e comprendere il “pensiero laterale” ovvero sviluppare innovazione in funzione di quello che è già in nostro possesso.

L’utilizzo consapevole delle tecnologie è anche propulsore di un marketing meno aggressivo e maggiormente creativo. Ciò sta avvenendo nei settori più colpiti dall’emergenza Covid-19 e che probabilmente con più fatica riusciranno a rialzarsi, come il turismo.

Ad esempio “Puglia Eco Travel”, Rete della Sostenibilità che raggruppa 9 aziende allo scopo di favorire un turismo lento, stagionale, ecologico e in armonia con la natura e il benessere, si sta direzionando nella creazione di una vetrina digitale dei propri servizi e prodotti: un nuovo modo di vivere il viaggio, gustare sapori e colori che risponde alle restrizioni attuali.

Nei momenti difficili c’è sempre un’opportunità da cogliere e questa può essere la sostenibilità, la circolarità dell’economia, la capacità di innovarsi. Fino ad ora questa necessità sembrava cavalcare un trend senza reale consapevolezza. Ora la necessità di cambiamento e trasformazione è emersa ed urge che diventi uno status quo. Tuttavia questa cammino deve essere consapevole e scaturire da una reale volontà di recupero dei ritmi al passo con il sistema che ci ospita, nascere da una riflessione del lavoro non solo come motore propulsore del profitto e del benessere economico ma anche come salvaguardia  del benessere collettivo e dello sviluppo umano, secondo una concezione del lavoro quale contributo che il singolo e le aziende offrono alla società, rispettando e dando voce alle inclinazioni di ognuno, come sancito dall’Art. 4 della Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”